Cos’è un concerto di Morrissey? Un concerto di Morrissey è un rituale, una cerimonia che possiede molti dei caratteri del sacro, in cui il pubblico è parte integrante della riuscita dello spettacolo. Sì, perché ogni fan di Morrissey non guarda a lui come a un cantante, come a uno scrittore, né tanto meno come a un performer: ogni fan di Morrissey fa di Steven Patrick un idolo vivente. È per questo che i semplici curiosi non capiranno facilmente un concerto del crooner mancuniano: non lo si scambi per noioso snobismo, ma per godersi appieno un concerto di Morrissey bisogna amare Morrissey incondizionatamente, guardarlo esattamente con gli occhi di chi dal Moz “è stato salvato”, ascoltarlo con le orecchie di chi ha consumato i dischi degli Smiths quanto quelli della sua carriera solista. Un avventore dell’ultim’ora non riuscirebbe a spiegarsi, altrimenti, il perché dei video proiettati prima dell’esibizione, il perché della presenza così esigua di brani degli Smiths, il perché dello stillicidio di “Meat Is Murder”, e nemmeno il perché dei suoi “capricci”, delle invasioni di palco, del canonico lancio della camicia e della conseguente lotta per aggiudicarsene un pezzo, anche esiguo. Ogni appuntamento con Morrissey è un atto teatrale e catartico, dove ogni adepto sa cosa aspettarsi e dove Morrissey, di rimando, sa sempre come sorprendere.
Cesena è la seconda delle tappe italiane di questa seconda parte del tour che segue l’uscita di World Peace Is None of Your Business, bellissimo e sfortunatissimo ultimo capitolo della discografia di Morrissey. Sfortunatissimo, sì, perché le ormai arcinote incomprensioni con l’etichetta Harvest hanno creato non pochi problemi promozionali, portando addirittura alla sparizione dei dischi dagli scaffali dei negozi, sia fisici che digitali. Morrissey, dunque, sembra non voler fare altro che rifugiarsi nella dimensione live, dove è idolatrato da devoti di tutte le età e dove, attualmente, sembra assolutamente felice. È questa la prima cosa che salta agli occhi del pubblico di Cesena: Steven appare contento, sornione, perfino galvanizzato, tanto che concederà ben venti brani agli astanti. Chi frequenta i concerti di Morrissey da tempo sa che venti brani sono un lusso per un artista che, qualora si trovi in una location fatiscente e dall’acustica pessima, o, peggio, notasse il chiosco dei panini con la porchetta fuori dal palazzetto, non si farebbe scrupoli a ridurre la scaletta a sedici brani o, addirittura, ad abbandonare stizzito il palco. Se, durante il tour dell’anno scorso, le pessime venue erano valse uno statement ufficiale in cui Morrissey si lamentava delle strutture e dello scarso riguardo degli organizzatori nei confronti delle sue esigenze, questa volta anche un posto come il Carisport sembra accontentare il Nostro, e alla grande.
Si inizia nel migliore dei modi, con due dei singoli più celebri del Moz, Suedehead e Alma Matters, che scaldano per bene la platea tutta, al punto da spingerla ad abbandonare i posti a sedere e ad accalcarsi sotto il palco. La band sembra voler battere il ferro finché è caldo quando propone a bruciapelo l’anthem definitivo dell’opera Morrisseyana, Speedway, qui cantata in coppia con il polistrumentista Gustavo Manzur che pensa bene -e forse non così bene- di tradurne il ritornello in spagnolo, mentre Morrissey batte in disparte un tamburello a sonagli. Sebbene la scelta sia discutibile, è indubbio che l’esercizio di stile di Speedway rappresenti l’alchimia che si è instaurata tra Moz e il suo gruppo. Orfana del grande Alain Whyte da Ringleader of the Tormentors e paga della presenza, in questo tour, di Mando Lopez al basso, degno sostituto di Solomon Walker, la compagine dimostra ancora oggi di tenere il palco in maniera egregia, con velleità sempre più rock, mantenendo i barocchismi all’essenziale e producendo un suono diretto e, all’occorrenza, persino aggressivo. È il caso di Ganglord o di Mama Lay Softly on the Riverbed, dove sia il veterano Boz Boorer che Jesse Tobias si scatenano sulla sei corde, dimostrando quanto il sound di Ringleader of the Tormentors e di Years of Refusal rappresenti ancora una costante nelle esibizioni dal vivo. Anche i brani più pop e ricercati di World Peace Is None of Your Business vengono “contaminati” da questo spirito: Staircase at the University (grande assente in molte tappe dello scorso tour italiano) e Istanbul, ad esempio, risultano oggi più heavy, senza però intralciare la performance vocale di Morrissey, che tocca vette altissime.
È davvero in forma, Steven Patrick, oltre che raggiante, e lo dimostra con un’interpretazione assolutamente sentita, molto più vivida rispetto agli anni passati. Sarà per questo che Now My Heart Is Full coglie in contropiede commuovendo la maggior parte degli astanti, che lasciano ondeggiare in aria le braccia tremolanti per l’emozione. Se la presenza di Oboe Concerto sacrifica qualche chicca, Morrissey tiene a proporre alcuni classici intramontabili: l’ormai iconica You Have Killed Me, con lo sfondo delle immagini di Pasolini a ricordarci cosa e chi, il vecchio Moz, abbia amato maggiormente dell’Italia, Everyday Is Like Sunday, con l’esilarante inserto di Quando, quando, quando di Tony Renis, e il classico intramontabile della Smiths-era How Soon Is Now?, che è sempre un tripudio per le orecchie e per gli occhi, incantati dinanzi all’incredibile performance di Matt Walker alla batteria.
Se, rispetto alle altre date del tour, la scaletta di Cesena resta orfana di Boxers e di The World Is Full of Crashing Bores, non ci si può lamentare: sono I Will See You in Far-Off Places e What She Said ad impreziosire un concerto che aveva convinto già dal primo minuto e che accontenta ulteriormente i nostalgici attraverso la coda energica e ossessiva di The Queen Is Dead, posta a sigillo della performance tutta.
Quello di Cesena verrà ricordato come uno dei migliori appuntamenti italiani del Mozzer, senza dubbio, e sebbene Morrissey resti ancora sprovvisto di un’etichetta e continui a far parlare di sé più per amor di gossip che per ragioni artistiche, questa incredibile serata serve a ricordare quale meraviglioso essere umano abbiamo la fortuna di possedere. Forse Morrissey non ci appartiene, come ama ribadire in I’m Not a Man, ma fatto sta che calchi il suolo di questo pianeta insieme a noi. Sappiamo benissimo le ragioni per le quali l’adoriamo ma, se ce lo dovessero chiedere, stasera, non sapremmo rispondere. Sappiamo che in qualche modo è così, perché il suo carisma ci ha toccati nel profondo, col suo sguardo severo e mai indulgente e con la sua voce unica, pericolosamente espressiva. Cento di questi Moz.
Setlist:
Suedehead
Alma Matters
Speedway
Ganglord
Staircase at the University
World Peace Is None of Your Business
Istanbul
Mama Lay Softly on the Riverbed
Now My Heart Is Full
Kiss Me a Lot
You Have Killed Me
Oboe Concerto
The Bullfighter Dies
I’m Throwing My Arms Around Paris
How Soon Is Now?
Everyday Is Like Sunday
Meat Is Murder
I Will See You in Far-Off Places
What She Said
Encore:
The Queen Is Dead
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