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The Twilight Sad: Locomotiv, Bologna, 7 Aprile 2015

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Chi avrebbe mai potuto immaginare l’evoluzione degli scozzesi Twilight Sad quando Fourteen Autumns and Fifteen Winters fece il suo ingresso nel panorama musicale internazionale? Un album che, per quanto godibile, non preannunciava minimamente la svolta post-punk delle composizioni future, con quelle batterie così violente e quella chitarra impegnata a costruire un muro di suono sempre più alto e opprimente. Dal 2007 ad oggi James Graham, Andy MacFarlane e Mark Devine di gavetta ne hanno fatta, assecondando maggiormente il proprio lato struggente e, oserei dire, tragico, sperimentando percorsi diversi di album in album, fino a raggiungere una maturità incredibile con la quarta e ultima fatica in studio. Quell’accento scozzese così palese, che all’inizio alcuni recensori trovavano risibile, ad oggi è considerato il loro principale marchio di fabbrica, mentre la tristezza imperante delle loro composizioni, dapprima vista come un’esagerazione superflua, si fa oggi elemento imprescindibile di una formula ampiamente acclamata.

Quella di Bologna è la prima data italiana dal 2012 e, nonostante si tratti del primo giorno feriale successivo alla parentesi pasquale, il Locomotiv si presenta piuttosto affollato, segno di quanto siano stati bravi, i Twilight Sad, a costruirsi un seguito irriducibile di appassionati anche fuori del Regno Unito. L’annuncio che Robert Smith avrebbe interpretato un loro brano, del resto, ha attirato un numero più nutrito di curiosi perché, si sa, riuscire a far registrare una canzone al leader dei Cure è impresa alquanto ardua e degna di lode, di questi tempi.
Introdotti dalle Naughty Betsy, un simpaticissimo gruppo tutto al femminile che si destreggia tra il surf rock e il piglio punk dei Ramones e delle Bikini Kill, i Twilight Sad fanno il proprio ingresso sul palco proprio con il brano favorito di Mr. Smith, There’s a Girl in the Corner, decretando con incedere lento e incalzante l’atmosfera malinconica della serata. Accompagnati da Brendan Smith alle tastiere e da Johnny Docherty al basso, il trio si lascia andare ai propri istinti primordiali, coniugando alla perfezione la furia delle origini all’intimismo più ricercato degli ultimi tempi. È uno slalom temporale, quello proposto dalla band, che lascia spazio tanto a episodi più recenti come Last January e It Never Was the Same quanto a brani che possiamo, a ragione, definire classici, quali I Became a Prostitute e Cold Days from the Birdhouse.

Osservando i Twilight Sad dal vivo, si affaccia l’impressione che Mark Devine, col suo battere violento e misurato (meno invadente dello stile delle origini), e Andy MacFarlane, che si barcamena tra arpeggi melodici e effetti più “noise” all’occorrenza, rappresentino la parte più razionale del trio, quella che riesce a tenere a bada i propri brani con attenzione e compostezza. James Graham, d’altro canto, appare completamente sovrastato da ciò che canta: si tiene la testa tra le mani, chiude ripetutamente gli occhi come a contenere ogni genere di dolore, smania, si lascia cadere sulle ginocchia e, nonostante l’incredibile precisione nel riprodurre ogni nota, sorge la consapevolezza che ogni parola sillabata rappresenti un sacrificio, un atto passionale catartico e consapevole.
È il caso di Drown So I Can Watch o dell’ormai emblematica That Summer, at Home I Had Become the Invisible Boy (non a caso segnata in scaletta semplicemente come “Single”), cantate con partecipazione enorme, tale da permettere di ignorare i piccoli (seppur fastidiosi) problemi tecnici di equalizzazione, che nascondono un po’ troppo spesso le frequenze della voce. Il connubio d’istintività e controllo che s’instaura tra Graham e il resto del gruppo si celebra totalmente con The Wrong Car, posizionata strategicamente verso la fine del set ed eseguita con epicità sbalorditiva: si pende da ogni “atto di dolore” di questo compositore irrequieto che, nonostante irretisca ogni astante, non ruba mai completamente la scena ai suoi compagni d’armi, concentrati quasi maniacalmente sui propri ruoli e impegnati a sorprendere il pubblico con una potenza e un impatto inaspettati.
Spiccano, tra tutti brani proposti, quelli estratti dall’ultimo, bellissimo, Nobody Wants to Be Here and Nobody Wants to Leave: dalla travolgente Last January passando per la delicata e crepuscolare I Could Give You All That You Don’t Want, la band si mostra particolarmente a proprio agio nell’interpretare le ultime composizioni. Il pubblico, nessuno escluso, ne resta rapito. Della musica dei Twilight Sad, del resto, riusciamo tutti a riconoscerne la matrice, dal fan incallito al curioso occasionale, e ognuno di noi, questa sera, potrebbe sforzarsi di scomodare tanti e illustrissimi nomi direttamente dagli anni ’80 e ’90, così come potrebbe citarne i generi di riferimento, dal post-punk -ovviamente- allo shoegaze. Tuttavia, serpeggia in noi la consapevolezza che ciò che ci attiri maggiormente, dei Twilight Sad, siano proprio i Twilight Sad. Questi ragazzi normalissimi che condividono i nostri difetti e che cantano le nostre umane sofferenze, privi delle caratteristiche tipiche delle “star” da palcoscenico, sono riusciti a personalizzare magistralmente ogni fonte d’ispirazione, a tal punto che ogni paragone, ogni analogia, si trasforma in una formalità gratuita. La loro formula è, per quanto devota, finalmente unica. Sono loro che ci piacciono, con il loro aspetto, con le loro intuizioni, al punto che stasera non abbiamo bisogno che Robert Smith interpreti una loro canzone.

Pur varando soluzioni sempre nuove e intraprendendo percorsi sempre più ricercati, i Twilight Sad sono riusciti a scendere a compromessi con la propria anima più cruda, creando, in qualche modo, due band distinte. Ci sono i Twilight Sad in studio, che hanno imparato a giocare con i synth e che sperimentano i suoni più adatti alla cupezza dei propri temi, e ci sono quelli dal vivo, che nascondono la melanconia ancestrale di cui si fanno portavoce in un pugno serrato, pronti a sferrarlo sull’ascoltatore ignaro che non può che bearsi, masochisticamente, di queste maschere tragiche e violente.

Setlist:
Intro “O Willow Waly” (Isla Cameron)
1. There’s a Girl in the Corner
2. Last January
3. That Summer, at Home I Had Become the Invisible Boy
4. Drown So I Can Watch
5. I Became a Prostitute
6. Reflection of the Television
7. Seven Years of Letter
8. It Never Was the Same
9. I Could Give You All That You Don’t Want
10. Nil
11. Cold Days from the Birdhouse
12. The Wrong Car
13. And She Would Darken the Memory

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